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Domenico Ryolo nasce a Milazzo l’11 maggio 1895 da Cesare e da Carolina Di Maria Brunaccini. Compie gli studi classici nella rinomata Scuola benedettina di Montecassino e nel 1913 si iscrive al Politecnico di Milano. Chiamato alle armi allo scoppio della prima guerra mondiale, comanda, come ufficiale di artiglieria, la 609a batteria, prendendo parte a numerose azioni belliche e segnalandosi, in particolare, durante la drammatica ritirata dal Carso. Gli viene conferita la Croce di guerra e viene congedato col grado di capitano. Tornato agli studi, nel 1922 consegue la laurea in Ingegneria industriale meccanica, e, rientrato a Milazzo, esercita la libera professione e si occupa di agricoltura dirigendo l’azienda agricola della madre. Intanto, si interessa di geologia e archeologia, e si dedica a ricerche storiche sulla Sicilia (in particolare su Milazzo e altri centri del messinese), a studi di arte e di numismatica (in particolare, di monetazione messinese e mamertina). Frequenta la Biblioteca comunale e copia a mano “Melazzo Sacro” di Perdichizzi e pagine di volumi dell’Archivio storico che poi andranno distrutti dai bombardamenti del 1943, e di cui, quindi, resta solo la sua trascrizione. La sua prima pubblicazione che ci è stato possibile rintracciare risale all’inizio del 1940 ed è dedicata a Milazzo, Tindari e le Eolie, della cui natura, storia, arte ed economia traccia un rapido profilo, anticipando quelli che saranno i temi di tutta la sua successiva produzione. Nello stesso anno ha pronto per la stampa un documentato studio sull’ubicazione dell’antico torrente Longano e del luogo dove nel 269 a. C. si svolse la battaglia fra Mamertini e Siracusani, ma lo scoppio della guerra ne farà rimandare la pubblicazione. Nel 1937 collabora con l’archeologo Pietro Griffo, che sta compiendo scavi a Milazzo e che lo definisce fervido e disinteressato amante delle memorie patrie”. Nel ’41 conosce Luigi Bernabò Brea, appena nominato Soprintendente alle Antichità per la Sicilia orientale, e fra i due nasce una amicizia e fruttuosa collaborazione, fondata sulla grande considerazione che l’illustre archeologo ha per la competenza e la passione di Ryolo, sulle cui iniziative e segnalazioni si baserà per intervenire nel territorio di Milazzo. Nel 1942, insieme, scoprono il riparo di Sperlinga a Novara di Sicilia; nel ’43, seguono gli scavi effettuati dai militari nella Grotta di Polifemo; nel ’50 -sulla base delle ricerche di Ryolo sull’ubicazione del Longano- scoprono i resti della città di Longane, nel comune di Rodì Milici. Poi nell’ottobre del ’50 comincia per entrambi la grande stagione della scoperta delle necropoli di Milazzo: due a piazza Roma (quella proto-greca, che conferma quanto tramandato dalla storiografia greca, e quella protovillanoviana, che sposta indietro di quattro secoli il primo insediamento sul castello), e la terza, al Tono, appartenente alla media età del bronzo, che riporta ancora di alcuni secoli indietro l’inizio di quell’insediamento. Gli scavi sistematici, sotto la direzione di Madeleine Cavalier, cominciano il 21 ottobre 1951; la seconda campagna di scavi, con un finanziamento regionale, dura dal 21 maggio al 9 giugno 1951 e la terza dal 25 febbraio al 20 marzo 1952. Negli stessi anni, al Borgo, trova tracce di reperti dell’età del bronzo in Vico del Re e reperti di età classica nella piazzetta del Rosario e nell’attuale via Giovanni XXIII. Quindi, nel 1954, identifica nell’istmo -nello scavo per una nuova strada che incrocia via S. Giovanni- un’altra ampia necropoli, di età ellenistica, con tombe a cappuccina. Sarebbe il momento di realizzare il Museo archeologico di Milazzo, completando l triangolo con Lipari e Tindari, ma la sordità dell’Amministrazione comunale vanifica l’impegno e i propositi di Bernabò Brea e Ryolo, che nel ’58 redige inutilmente il progetto per il recupero e la ricostruzione di Palazzo Carrozza da adibire a sede del museo. I reperti andranno a Lipari, e l’unico nostro museo sarà quello “di carta” costituito dal bellissimo volume “Mylai” , di L. Bernabò Brea e M. Cavalier.Intanto Ryolo continua le sue ricerche sul terreno e nel 1960 trova a Vaccarella, all’inizio della nuova strada panoramica, i resti di un’altra necropoli, questa volta del bronzo antico, spostando così ulteriormente indietro di altri secoli l’abitato sull’acrocoro del castello. Ma non è ancora questo il periodo del primo insediamento dell’uomo nel territorio di Milazzo: fra il ’50 e il 52, aveva rinvenuto “entro il recinto del Castello” schegge di ossidiana, e poi, durante lo scavo di pozzi, erano emersi frammenti di ceramica e lame di ossidiana, nella Piana, nelle contrade Badessa (1957) e Scaccia (1959), addirittura a una dozzina di metri di profondità, (segno che c’erano stati -egli ritiene fra il quarto e il terzo millennio a. C.- convulsioni climatiche con enormi smottamenti e soliflussioni dalle colline che avevano alzato il livello della parte centrale della pianura). Infine, nel settembre del 1970, nella estrema parte settentrionale del Promontorio, fra il Faro e Punta Messinese, rinviene le tracce di un “villaggio neolitico” che sposta indietro di altri due millenni la preistoria di Milazzo, alla “cultura” di Stentinello e Castellaro Vecchio (circa 4000 a.C.) Si tratta di un paio di piccoli frammenti di ceramica d’impasto, un nucleo di ossidiana e alcune lame di utensili ricavate da esso, a testimonianza di un insediamento che non importava da Lipari il “prodotto lavorato”, ma costituiva un vero “centro di produzione”. Il trentennio 1950-1980 è per Ryolo il periodo più fecondo di risultati, non solo per le sue scoperte archeologiche, ma anche per le numerose pubblicazioni sulla storia e l’arte di Milazzo e di altri centri della provincia. In riconoscimento di quest’attività viene nominato Ispettore onorario ai Monumenti, alle Antichità e alle Opere d’arte della provincia di Messina, socio delle Società di Storia Patria di Messina e di Palermo, socio corrispondente dell’Accademia Peloritana, socio del Centro studi per la storia dell’architettura di Roma. Bernabò Brea gli conferisce l’incarico del progetto e la direzione dei lavori degli edifici che dovranno ospitare il Museo di Lipari e l’Antiquarium di Tindari, ma si affida a lui anche per quello che definisce “un intervento di ingegneria archeologica, di grosso impegno, di grossa responsabilità” per il restauro della “Basilica” di Tindari.”Bisogna quindi ricordare, oltre all’aspetto di erudito e ricercatore delle antichità locali, la parte tecnica, professionale, di ingegnere che egli ha messo a disposizione dell’archeologia.”Mentre continua gli studi sul patrimonio artistico e monumentale di Milazzo, tenta, per mezzo di interventi formali e con lettere riservate, con tutto il peso della sua autorità di studioso e di professionista progettista e direttore di tante opere pubbliche (dall’acquedotto al Cimitero), di difenderlo dagli attentati di un dissennato boom edilizio, sul colle dei Cappuccini, nella Marina (Palazzo Cumbo, quel che resta di palazzo Ryolo), in via Umberto I. Ad esempio di questo impegno ci soffermiamo su una sola sua iniziativa, quella perseguita con tenacia. per far riavere a Milazzo quattro dei sette dipinti, che erano stati richiesti il 12 settembre 1951 e ritirati il 15 settembre 1953 per la “Mostra antonelliana e del ‘400 siciliano” tenutasi a Messina e che non erano stati restituiti, col pretesto di volerli restaurare. Dopo averne parlato col prof Vigni, dal 16 gennaio 1955 al 18 marzo 1961 reitera le segnalazioni e i solleciti alla Soprintendenza regionale alle Gallerie, sottolineando -fra l’altro- che tali dipinti sono “di proprietà del Comune di Milazzo” (e non dell’Arcipretura di Milazzo, come aveva scritto in una lettera del 13 dicembre 1955 mons. Cernuto). Finalmente il Soprintendente Delogu, il 5 aprile 1961, lo incarica di compiere una “ricognizione e identificazione dei dipinti” presso il Museo regionale di Messina. L’8 aprile Ryolo riferisce in una “riservata personale” che i quadri “in buono stato al momento del prestito” sono quasi irriconoscibili, sembrano “i resti dei quadri (in particolare S Pietro e S. Paolo di Antonello de Saliba) prelevati a Milazzo dal dott. Caradente: tale è il loro stato di conservazione”. Ottiene così che Delogu il 5 ottobre disponga che i dipinti siano restaurati “entro l’esercizio corrente”. Nel 1972 redige, per conto del Ministero della Pubblica Istruzione -nell’ambito del progetto europeo dell’Inventario del Patrimonio culturale europeo- le schede dei beni artistici e monumentali di Milazzo.
Ritiratosi dall’attività professionale, può dedicare più tempo ai suoi scritti, e infatti dalla fine degli Anni Sessanta le sue pubblicazioni si sono infittite. Nell’inverno suole trasferirsi a Roma, in una residenza più confortevole per i mesi freddi, in via Faiti 6, nei pressi del Lungotevere della Vittoria (“dedicato al nome di mia moglie”, soleva dire con affettuosa ironia verso la consorte, che gli era tanto più cara perché, vivendo da soli, senza figli, erano inseparabili). Ma, proprio a causa di tali lunghi periodi di assenza, questi anni sono
“rattristati -scrive Giacomo Scibona- da due furti qualificati subìti nella sua villa di Barone. Il primo ‘firmato’ avviene all’inizio degli anni Ottanta (in uno scritto dell’84 parla al passato di monete “che avevano fatto parte” della sua collezione, ndr); il secondo comportò un quasi integrale svuotamento della suppellettile domestica di famiglia, circa due anni dopo”.Nel novembre del 1984, il Liceo classico di Milazzo organizza in suo onore un incontro per celebrare il trentennale della conclusione della campagna di scavi degli anni Cinquanta. Bartolo Cannistrà ricostruisce la vicenda degli scavi, e Bernabò Brea illustra la portata del contributo di Ryolo, al quale, al termine del convegno, sarà consegnata una targa d’argento offerta dai docenti dell’Istituto. Le commosse parole di ringraziamento di Ryolo per questo che resterà l’unico riconoscimento tributatogli in vita nella sua città costituiscono la sua ultima “uscita pubblica”. Per l’età avanzata, lascia sempre più raramente la villa di Camiòli (da lui amatissima e di cui nella “Guida” aveva ricordato “i molti palmizi”), ma è sempre vigile e impegnato: convoca gli amici interessati ai problemi di storia milazzese; ne discute con la passione di sempre; vuole essere in-formato sugli scempi edilizi che minacciano il patrimonio artistico della città, sulle iniziative culturali, sulle prospettive di riapertura della Biblioteca comunale, cui era legato fin dagli anni della giovinezza. Propone ad uno degli amici più devoti la realizzazione di una “Guida archeologica e artistica della provincia” (fornendo idee, indicazioni e testi) e lancia l’idea di una “Società milazzese di storia patria”, di cui discute lo Statuto, la possibile sede e la costituzione della biblioteca cui intende contribuire coi suoi libri. Poi le sue condizioni peggiorano, e, nell’autunno del 1988, resta immobilizzato a letto. La sera del 2 dicembre si spegne, all’età di 93 anni. I funerali sono celebrati nella chiesa di S. Papino. Viene sepolto nel Cimitero di Milazzo, dove lo raggiungerà, qualche anno dopo, la moglie Vittoria.