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  3. Le chiese

Le chiese non mancano sul territorio di Milazzo, sono concentrate soprattutto nella zona del Borgo e del Centro, un gran numero di chiese. Alcune sono andate perdute nel tempo , molte sono barocche e realizzate nel periodo che va dal ‘500 al ‘600.

Al centro della città c’è la Chiese del Carmine,  è stata eretta tra il 1574 e il 1577 sul luogo ove sorgevano due piccoli templi, rispettivamente dedicati alla Madonna della consolazione ed a San Filippo d’Agira. Quasi interamente distrutta nel corso di un assedio spagnolo avvenuto nel 1718-19, venne ricostruita ed assunse quindi l’attuale aspetto tra il 1726 e il 1752. Per la ricostruzione vennero comunque reimpiegati gli elementi originali della vecchia struttura. Una bella porta a pian terreno, in barocco monumentale, permette l’accesso a quello che fu una volta il chiostro. Al suo interno si trovano sculture raffiguranti: “S. Gioacchino” (legno policromo, ignoto XVII secolo); La Madonna del Carmine (1737 legno policromo dello scultore gangitano Angelo Occhino); Il Crocifisso (policromo ignoto XVII secolo). Nell’abside, invece, sono visibili due oli su tela di autori ignoti (XVII secolo) raffiguranti S. Giovanni de Mata e la Madonna del Carmelo. Il Convento Carmelitano di Milazzo, sede di numerosi Capitoli della Provincia monastica, ospitò tra i tanti insigni personaggi civili, militari e religiosi – il re di Sicilia Vittorio Amedeo II di Savoia – con la sua corte in visita alla città: aprile e giugno 1714.


 


Più avanti, lungo la Marina Garibaldi, troviamo la chiesa di San Giacomo. Questa è stata eretta nel 1434, quale tributo di re Alfonso d’Aragona per aver liberata la città dall’assedio cinto da Luigi d’Angiò di Napoli. Semplice nelle sue linee essenziali incastona un portale del 1712 alla sommità del quale troviamo una statua del santo del XV secolo. All’interno della chiesa, ad unica navata, troviamo l’altare seicentesco del vecchio Duomo, quest’ultimo si trova all’interno del Castello, ed una pala, opera degli allievi di Antonello da Messina. Sul soffitto un grande affresco opera di Scipio Manni (1761), rappresentante S. Giacomo condotto al martirio. Due tele settecentesche del palermitano Scipio Manni: “L’Annunciazione” sul primo altare di destra, e “Gesù, la Maddalena e S. Giovanni” sul secondo altare di destra.


Proseguendo si arriva alla chiesa di Santa Maria Maggiore edificata tra il 1610 e il 1621. Originariamente si chiamò S. Erasmo e venne edificata a ricordo di una chiese di eguale denominazione ubicata. La nuova chiesa di S. Erasmo, nel 1632, fu dedicata a Gesù e Maria. Storicamente, come si rileva da due lapidi commemorative apposte sulla facciata è legata all’epopea de Mille. Infatti, sulle sue scalinate, nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1860, al termine della sanguinosa battaglia Garibaldi si concesse un sonno ristoratore. L’interno ha un’unica navata arricchita dagli affreschi di Scipione Manni che li eseguì nel 1762. Le pareti e la volta sono arricchite da decorazioni in stucco che avvolgono con fantasiosi motivi vegetali.


Salendo al  borgo troviamo  una delle più belle e scenografiche chiese di Milazzo: il Santuario di San Francesco da Paola. E’ l’unico Santuario di San Francesco di Paola presente in Sicilia. Il Santuario, fondato dal santo, fu costruito tra il 1464 ed il 1467. A S. Francesco vengono attribuiti diversi miracoli nella costruzione della chiesa e dell’annesso convento. Uno dei miracoli, per esempio, è quello dell’acqua. Mancando l’acqua i muratori chiesero a San Francesco cosa fare, lui indicò allora dove scavare. Due grandi massi, però, ad un certo punto, impedivano di procedere nei lavori. Il santo si avvicinò, fece il segno della croce e questi divennero leggerissimi e fu possibile spostarli. San Francesco volle, però, che venissero utilizzati per la realizzazione delle fondamenta del convento e chiesa e tutt’oggi esistono ancora. Li si può vedere recintati da sbarre di ferro. I guai però non erano ancora finiti: l’acqua che sgorgava dal pozzo era salmastra. Altro segno di croce sul pozzo e l’acqua divenne potabile. Il santo profetizzò, però, che quando fosse stata costruita una cisterna per raccogliere l’acqua piovana il pozzo sarebbe tornato a contenere acqua salmastra e così avvenne.

Altro miracolo fu fatto dal santo quando, fatte venire le travi per la costruzione della volta della chiesa, ci si accorse che una di esse era più corta e quindi non poteva essere appoggiata alle due pareti. Quando San Francesco ne fu informato, si fece indicare la trave, la prese tra le mani e la allungò in modo che potesse poggiare sulle pareti. La trave “miracolata” è la terza entrando in chiesa ed è segnalata da una lampadina sempre accesa.
In meno di tre anni chiesa e convento furono ultimati, il santo volle si dedicassero a Gesù e Maria ma oggi ad entrambe le costruzioni si attribuisce il nome di San Francesco di Paola.
Terminata la costruzione mancava ancora la campana, il santo ne adocchiò una molto bella su un vascello nel porto. La chiese in regalo al comandante della nave ma costui la voleva pagata. Non avendo denaro Francesco se ne andò al convento ma, quando il comandante volle lasciare il porto, non ci riuscì sino a che non diede in dono al santo la desiderata campana.
Sempre in tema di miracoli ce n’è uno legato alla battaglia garibaldina di Milazzo. Il 20 luglio 1860 un colpo di mortaio colpì la chiesa ma il proiettile rimase piantato dentro alla parete senza esplodere e far danni. Tutt’oggi lo si può ancora vedere conficcato, con una targa sottostante che ne ricorda l’evento.
La chiesa è molto bella e scenografica. Radicalmente restaurata nel XVIII secolo. Pienamente barocca la facciata ha davanti all’ingresso principale una plastica doppia scalinata ogivale che sembra abbracciarne l’ingresso ampliando l’effetto scenico teatrale dell’insieme, sembra quasi un palco teatrale su cui si erge la chiesa. Davanti alla piccola piazzetta antistante scende una scalinata con, all’inizio, la statua del santo.
Tornando alla facciata due colonne, con capitelli corinzi, sostengono una grande balconata in ferro battuto che si slancia sopra il grande portone dell’ingresso, ai fianchi due grandi finestre al di sopra sormonta un grande stemma con la scritta CHARITAS da cui si dipartono tantissimi raggi.
Dentro la chiesa è ad un’unica navata ed ha diverse pregevoli opere d’arte. Molto bella è la cappelletta dedicata a Gesù e Maria nella quale si può ammirare una Madonna col bambino del 1465 circa di Domenico Gagini.
Entrando a sinistra si può vedere una teca trasparente contenente il corpo mummificato di una monaca, coeva di San Francesco e che quest’ultimo conosceva, la beata Candida. Candida era una giovane milazzese vissuta nel 1400 ed era stata una delle prime discepole di San Francesco di Paola. Quando il santo stava per andarsene dalla città ella gli avrebbe chiesto un ricordo e lui impresse la sua immagine sulla porta di casa di Candida. Questa tavola era venerata sull’altare maggiore sino a quando non andò perduta in un incendio nel 1908. La beata morì nel 1470 e venne sepolta all’interno della chiesa, quando, tre secoli dopo venne riesumata poiché nella chiesa si stavano effettuando dei lavori di ristrutturazione, si notò il prodigioso stato di conservazione del suo corpo. Ecco che si decise quindi ricomporne il corpo, ricoprendo con una cera policroma volto e piedi, vestendola con gli abiti dell’epoca, di adagiarla su un cuscino, come se dormisse e di collocare nella teca un piccolo vaso contenente il sangue della Beata. Sull’urna vennero quindi apposti i sigilli del Prefetto del Sacrario Apostolico.


Risalendo sulla strada che attraversa il Borgo, via G.B. Impallomeni, si possono scorgere sulla sinistra due chiese: quella di San Rocco edificata nel 1575, in occasione della peste che colpì per tre anni la Sicilia, una chiesa-fortezza cinta da merlature su tre lati. Al suo interno la statua del Santo opera del tardo ‘500 in cartapesta colorata e gli stucchi rustici del ‘700. Il sacro edificio, attribuibile all’architetto regio Orazio del Nobile, è addossato ai resti della cinta muraria di Giacomo d’Aragona (1292) ristrutturata, nel 1622. dal Vicerè spagnolo Emanuele Filiberto di Savoia.


Non lontano troviamo la chiese dell’Immacolata costruita nel 1640 dalla Congregazione della Concezione. Adiacente alla chiesa, è il nuovo convento dei Padri Cappuccini costruito nel 1884. Tra le opere presenti al suo interno la Madonna degli Angeli tra San Francesco e Santa Chiara. Sono invece di Onofrio Gabrieli (Messina 1619-1706) L’Assunzione della Vergine, La bottega di S. Giuseppe, Santa Lucia e Santa Caterina d’Alessandria.


Continuando la salita, sulla sinistra, ecco spuntare la Chiesa di San Gaetano, detta anche della Madonna della Catena, purtroppo abbandonata a se stessa. Eretta nel Quattrocento da spagnoli della Catalogno, era una delle tre chiese sacramentali esistenti un tempo a Milazzo.


Quasi di fronte troviamo la chiesa del SS. Salvatore, costruita nel 1616 e ristrutturata dall’architetto palermitano Giovan Battista Vaccarini nel 1755. Anche questa purtroppo è chiusa da anni, presenta affreschi di Scipio Manni che rappresentano Gesù e Maddalena e Giuditta ed Oloferme. Sull’altare maggiore vi è un grande quadro raffigurante L’Ascensione di autore ignoto del secolo XVIII. In sacrestia una pala d’altare del ‘700 rappresentante La Natività ed attribuita a Scipio Manni. Nel maggio del 1954 andarono distrutti due grandi affreschi di Manni, rappresentanti uno L’Ascensione della Madonna e l’altro Rachele.


Poco più aventi la Chiesa di Nostra Signora del Rosario, più comunemente detta, della Madonna del Rosario fu promossa ed iniziata dal domenicano padre Giovanni Macrì nel 1538. Fu, fino al 1782, sede del Tribunale dell’inquisizione. Per la sua costruzione si rese necessario abbattere la quattrocentesca chiesa di S. Leonardo e la sua ultimazione, curata dall’architetto dell’ordine dei predicatori fra Antonio Frini e finanziata dalla città e dal regio patrimonio, si protrasse sino al 1580, con ulteriori lavori di perfezionamento, consolidamento ed abbellimento, che interessarono persino il primo trentennio del secolo successivo. Il disegno della facciata è semplice e severa espressione dei canoni cinquecenteschi. Vi si colloca appieno il portale che poggia su due semicolonne con capitelli corinzi dal timpano manieristico dalle doppie linee sovrapposte ed integrate con dei labbri aggettanti. Nella parte superiore del prospetto di taglio tardo-rinascimentale, si apriva un grande loculo, poi sostituito nel 1705, da un’elegante finestra rettangolare. L’ingresso era a sua volta fiancheggiato da due alti loculi minori. Nel 1790 fu operata l’ennesima alterazione con le due finestre rettangolari prive di cornice. Le piccole vele che raccordano le due sezioni del prospetto sono una piccola testimonianza delle due grandi volte ornamentali esistenti sino ai restauri settecenteschi, che inquadravano il frontone. Ai due estremi, su due piccoli basamenti, si elevano due pigne in pietra di disegno tardo barocco. Il portale laterale ha sostituito nel 1705 una più modesta architettura a banda larga.


La zona dove sorge la chiesa di San Giuseppe è storicamente indicata come Colle Giudeo o “Giudia di Milazzo” in quanto quartiere dell’antichissima comunità ebraica segnalatamente attiva sotto la dominazione musulmana (IX-XI secolo). Quasi al centro del piccolo insediamento era ubicata una Sinagoga della quale rimane memoria nel toponimo della piccolo vico del borgo detto, appunto, vico Sinagoga. La “Giudia di Milazzo” scomparve prima dell’Editto di Granada 1492 con cui Federico di Castiglia proclamò l’espulsione degli ebrei di Sicilia. La piccola chiese di San Giuseppe, che si erege sul colle omonimo, è ubicata tra l’antica porta del Capo ed il cimitero, fu costruita nel 1565 mentre la peste infieriva nella città. Originale e molto bella è la finestra settecentesca sulla facciata principale. Ai lati due altari minori: quello vero est con la statua settecentesca di S. Giuseppe, quello verso ovest ha una tela attribuibile ad Onofrio Gabrieli e rappresenta lo Sposalizio di S. Anna.


Sempre parlando di chiese di rute non si può non menzionare il Convento dei Cappuccini, un bel colpo d’occhio con la splendida cornice di quel bellissimo tratto di costa che è Croce di mare che si snoda al di sotto di essa. Arrivarci è facile: basta proseguire diritti per la strada che abbiamo intrapreso, ad un certo punto si deve svoltare a destra, la via porta al cimitero, e lì troviamo i ruderi del convento la cui costruzione dovrebbe risalire al 1577, accanto vi è la chiesa degli stessi padri che dovrebbe risalire alla stessa epoca, essa era dedicata alla Madonna dell’Itria o Odegitria, ovvero Madonna Guidatrice. Nella chiesa si verificava un curioso fenomeno acustico, verso la porta posta ad est si trovava un arco di 6,52 di diametro, sostenuto da due pilastri. Se due persone si fossero poste ciascuna accostata ad un pilastro e l’una avesse parlato a bassa voce, l’altra l’avrebbe udito distintamente, come avesse parlato a bassa voce.

Nei sotterranei vi era una catacomba, ormai a cielo scoperto visto che il pavimento è sprofondato portando alla luce ciò che secoli era stato celato.
Al di sotto del convento si vede anche un’antica tomba in cui è sepolto il Barone Gerolamo Massimiliano Zumjungen, nipote dell’omonimo generale, che comandò per qualche tempo la piazzaforte di Milazzo durante l’assedio del 1719. Il poveretto morì nel corso di tale assedio. Un po’ più in basso, in uno strano sincretismo storico, vi è un sepolcro bizantino. Salendo verso il Capo Milazzo troviamo la chiesetta della SS. Trinità, ubicata sulla sommità del Monte Trino, il colle più alto (mt.135) del Promontorio di Milazzo, già dedicato al culto delle divinità pagane (Apollo, Diana ed Iside od Osiride) ed eccezionale punto panoramico.

Ed ancora la Chiesa dell’Addolorata sorta tra il 1810 ed il 1813 a ridosso dell’omonima e più antica cappelletta gentilizia dei Calabrò da allora adibita a sacrestia. La struttura rispecchia lo stile neogotico. Sopra la porta principale la pale d’altare raffigurante la Madonna della Catena del XVII secolo. Al suo interno, sull’altare maggiore, la statua dell’Immacolata: ad est è un quadro della Sacra  Famiglia ed a ovest un quadro della Madonna di Pompei. Quindi la villa patrizia dei Lucifero e l’annessa Cappella di S. Nicolò costruite nel secondo seicento dai Baroni Baele e poi trasmesse per successione ai Lucifero nel 1751.

Una chiesetta molto suggestiva e particolare è quella di San Antonio che si trova nella punta estrema del promontorio: il Capo. Lì troviamo una suggestiva piazza ed un ripida scaletta dalla quale si accede alla chiesetta che ha la particolarità suggestiva di essere scavata nella roccia. La tradizione vuole che Sant’Antonio di Padova abbia sostato proprio lì dopo il naufragio sulle coste del Capo (gennaio 1221). La grotta è stata trasformata in chiesa alla santificazione di quest’ultimo. Nel 1575 assunse l’aspetto di chiesa a spese e cura del nobile Andrea Guerrera. È piccola ma carina, dentro troviamo un bell’altare maggiore in marmo intarsiato con ai lati due colonne. Alle parti troviamo nove quadri con la rappresentazione dei miracoli del Santo. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno di ogni anno c’è la tradizione da parte dei fedeli di raggiungerla a piedi in un lungo cammino.

La chiesa di Santa Caterina si trova in via Umberto I in prossimità di Piazza Roma. La costruzione di epoca bizantina, originariamente dedicata a Santa Marta, nel 1631 venne dedicata a Santa Margherita e solo nel 1722 acquistò la denominazione odierna.
La volta reale a botte copre l’unico vano della chiesa. Sull’altare maggiore la statua in marmo di S. Caterina d’Alessandria, proveniente dalla vecchia chiesa di S. Caterina, al Borgo, distrutta nel 1718 durante l’assedio spagnolo. Quest’opera fu commissionata, come testimonia il contratto, dalla Confraternita di S. Caterina di Milazzo, allo scultore Vincenzo Gagini (1527-152) e realizzata nel 1554. Ai piedi della statua della Santa il busto dell’Imperatore Massimino e sulla basetta storie della Santa.
Ad ovest dell’altare maggiore, in una nicchia, è la statua in cartapesta di Gesù flagellato, opera del ‘600; ad occicente dello stesso altare, in una nicchia, è la statua lignea di S. Gaetano, opera di autore ignoto del XVI secolo. Nell’altare laterale la bellissima statua lignea di S. Antonio da Padova di autore ignoto dei primi del ‘600.

In ultimo, ma non perché meno importate, è quella di San Papino o del SS. Crocifisso. Era già esistente nel 1566 quando venne restaurata grazie al gentiluomo milazzese Tommaso Leonte, come ex voto essendosi salvato grazie a San Papino apparsogli in sogno dalle gravi ferite riportate nel corso di una tempesta in mare.

Nel 1618 la chiesa fu donata al padre Benigno da Genova, generale dei Minori dell’Osservanza, il quale inviò i primi Riformati, che iniziarono l’opera di costruzione del convento nel 1620.

Nel 1629 questo fu ulteriormente ampliato da Antonio Perdichizzi, facoltoso milazzese.

A destra della chiesa troviamo un bel chiostro del 1600 formato da venti archi sostenuti da colonne in pietra arenaria. Originariamente il chiostro doveva essere un esempio di rara bellezza completamente decorato con affreschi ispirati alla vita d San Francesco ed ai Santi francescani, opera di Frate Emmanuele da Como (1625-1701). La chiesa ha una facciata mossa in stile barocco abbastanza scenografica.

L’interno di essa presenta una ricca decorazione a stucchi ed affreschi realizzati dal palermitano Salvatore Gregoretti (1934). L’altare maggiore è caratterizzato da un bellissimo baldacchino ligneo che incornicia una preziosa tela del seicento con la Madonna degli Angeli, San Papino ed altri santi francescani, tela attribuita al pittore messinese Onofrio Gabrieli. L’architettura del baldacchino e della custodia sono opere di frà Lodovico Calascibetta da Petralia Soprana, ebanista del XVIII secolo. Molto bello è il secondo altare di destra dedicato al SS. Crocefisso, opera in legno di Frate Umile da Petralia, realizzata tra il 1632 ed il 1633, per conto della nobile famiglia dei Baeli come attestato da un documento (Onse 75 al Venerabile Convento di San Papino per la fabbrica del SS Crocifisso), e da un manoscritto del 1962.

Nell’espressione del Crocifisso si possono rilevare alcuni particolari:

essa sembra cambiare spostandosi da destra verso sinistra e viceversa, infatti l’osservatore può notare che da sinistra l’espressione è serena mentre da destra è sofferente.
In diverse epoche ha manifestato il suo amore per Milazzo proteggendo la cittadina da calamità naturali e da terribili malattie.
E’ stato restaurato nel 1981 dal Signor Cristaudo di Acireale.


Espressione serena                                                              Espressione sofferente

                                      


Prodigiosa lacrimazione avvenuta il 15 aprile 1798

Una spaventosa siccità che aveva arso le campagne minacciava il popolo di fame e di pestilenza. Si innalzarono per ciò al Signore, pubbliche preghiere. Si invocò la Madre del Carmelo, si pregò Santa Elia, Santo Stefano Protomartire protettore della città. Si ricorse, come in altre occasioni al SS. Crocifisso di San Papino.

Si pregò e si pianse per tre giorni e tre notti. Al quarto giorno si formò una processione di penitenza. Si erano fatti pochi passi quando da ponente si innalzavano, leggere prima, più dense poi, alcune nuvole. La processione, intanto, era giunta quasi alla chiesa di San Giacomo ed il tuono cominciava a rombare. Il simulacro del Crocifisso entrò nella detta chiesa; e quando il popolo cominciò a trovare riparo l’acqua desiderata cominciò a cadere fitta e generosa. Il miracolo era compiuto. Il Crocefisso rimase tre giorni in quella chiesa e quindi, in solenne processione, fu accompagnato nella sua chiesa, dove, prima d’entrare, il Simulacro sostò dinnanzi alla porta e un  Padre disse parole di circostanza. Il popolo commosso piangeva.

Un’anima pia con lo sguardo fisso sul volto del Martire Divino, si accorse che dall’occhio destro scendevano lacrime gocciolanti sulle ferite del costato. Testimoni del prodigio furono moltissimi. Si raccolsero le lacrime con dei pannolini e furono racchiuse in una teca di metallo. Il giorno seguente (16 aprile 1798), fu esaminata la testa del Crocefisso e nessuna screpolatura e nessun altro trucco fu riscontrato. Dopo di ciò quindici cittadini sacerdoti e senatori del tempo, deposero ognuno la propria relazione sul miracolo avvenuto quali testimoni oculari. Il 20 luglio 1798 Monsignore Gaetano Garrisi Arcivescovo di Messina, dichiarò autentico il prodigio.

Il fazzoletto

Don Paolo Chillemi trovandosi inginocchiato ai piedi del SS. Crocifisso, vide le portentose lacrime scorrere dall’occhio destro del simulacro, toltosi di tasca un fazzoletto bianco, asciugò le miracolose lacrime.

Il fazzoletto fu diviso in due parti uguali, delle quali una metà restò al convento all’altra metà al suddetto Chillemi. Questo mezzo FAZZOLETTO alla morte di donna Mariana Chillemi, figlia di Paolo, ultima della famiglia e monaca Benedettina, passò per volontà della stessa al Reverendissimo Arciprete Stefano Martineo. L’altra metà, si narra, che sia passata alla figlia Marullo per volontà del Padre guardiano dei Riformati di San Papino, all’epoca della soppressione delle corporazioni religiose.

Nel 1922 un fazzoletto (o sezioni di esso) con cui furono asciugate le lacrime del SS. Crocefisso Rev. P. Teofilo Conti. Il miracolo delle lacrime è stato comprovato, dietro religioso processo dell’Arcivescovo di Messina Monsignore Gaetano Garrisi, Agistiniano, il 26 luglio 1798. Processo ed approvazione in originale conservasi nella Curia Vicariale il libro legato in pergamena.